10-Gennaio-2010
Analisi condotta da:
- Nasce dall' intenso lavoro condotto dalla Assemblea Costituente a partire dal 25-Giugno-1946, giorno della prima seduta
- Si fonda su Principi fondamentali, contenuti negli articolo da 1 a 12 e su un restante corpus di articoli divisi in due parti (seguite da 18 articoli di Disposizioni transitorie e finali).
La Prima Parte che copre gli artt. da 13 a 54, tratta dei Diritti e doveri dei cittadini - Si fonda su principi e valori che appartengono all'Italia tutta come paese democratico, repubblicano, antifascista.
- I membri della Costituente, nel lavorare alla creazione di una nuova Costituzione, a differenza delle attuali forze politiche, non avevano in mente meri interessi di parte politica , ma invece i seguenti punti :
- la necessità della ricostruzione e della rinascita economica e morale, con l'aspirazione ad una nuova concordia nazionale e ad una nuova solidarietà sociale,
- la volontà di mettere al bando definitivamente la guerra, la dittatura e la violenza, superando con coraggio i dolorosi fatti pregressi e dando al contempo all'Italia un dettato costituzionale equilibrato ed in grado di precorrere i tempi, infondendo dei principi tuttora validi ed attuali.
La Carta Costituzionale, checché ne pensi l’illustre Ernesto Galli della Loggia[1], è la cartina di tornasole del livello di civiltà di una Nazione. Non è nostra intenzione istruire un “casus-belli” fra intellettuali, ma parlare invece degli aspetti che oggi rendono così urgente un discorso sulla Costituzione.
La nostra associazione Articolo 53 Salvatore Scoca - Meuccio Ruini da tempo cerca di diffondere conoscenza e coscienza costituzionale attraverso la parola dei Padri Costituenti, ragion per cui vediamo cosa dicevano i Padri Costituenti a proposito della Costituzione nella Scuola.
“…Gli Onorevoli MORO,FRANCESCHINI, FERRARESE E SARTOR hanno presentato il seguente ordine del giorno:‘L'assemblea Costituente esprime il voto che la nuova Carta Costituzionale trovi senza indugio adeguato posto nel quadro didattico della scuola di ogni ordine e grado, al fine di rendere consapevole la giovane generazione delle raggiunte conquiste morali e sociali che costituiscono ormai sacro retaggio del popolo italiano’Credo che questa sia la sede più opportuna per votare questo ordine del giorno.
( E' approvato all'unanimità - Vivi, generali applausi)…”. (Ordine del Giorno 11 Dicembre 1947, Presidente: Umberto Terracini”)
Riteniamo che questo sia sufficiente per fare capire a chiunque, intellettuali inclusi, quale tesoro i Padri Costituenti ci hanno lasciato. Il fatto è che, ancora una volta, dobbiamo ribadire che occorre andare a leggere con cura quello che hanno loro hanno detto, scritto e fatto, non solo leggere gli articoli della Costituzione e fermarsi agli aspetti giuridici.
Sono illuminanti i testi dei verbali delle sedute, in quanto fanno capire lo spirito di collaborazione che animava la Costituente e lo spessore morale, sinora purtroppo ineguagliato, dei membri dell’Assemblea..
Che però alcune parti della Costituzione non sono realizzate non è poi una amara scoperta dei nostri tempi. Già qualche anno dopo la promulgazione della Carta, il Sen Meuccio Ruini fu intervistato da “Candido” su questo argomento. La questione oggi è però molto, molto più grave : ad oltre 60 anni siamo ben lontani dalla attuazione della Costituzione!!.
Eppure c’è chi da tempo si spertica in affermazioni gravissime quali che essa “risente delle implicazioni sovietiche che fanno riferimento alla cultura e alla costituzione sovietica da parte dei padri che hanno scritto la Costituzione”[2] o che si tratta di “una legge ‘vecchia’, che va cambiata”[3]. Addirittura c’è chi arriva a ritenerla non più significativa persino nell’Articolo 1, laddove si sancisce il principio inalienabile del diritto al Lavoro.
“Mala tempora currunt” direbbero i nostri antenati. La cosa che ci sembra ben più triste è che a debordare in questo modo non sono compagni al bar davanti ad un bicchierino , non sono gli anarchici o i nostalgici, ma membri autorevoli del Governo, gli stessi che hanno peraltro giurato fedeltà alla Costituzione. Ci sarebbe da domandarsi, “ma se gli sta così stretta, che hanno giurato a fare ?”.
Abbiamo detto, e costantemente ripetuto, che la Costituzione non è applicata in alcune sue parti e questa è la più profonda ferita che sino ad oggi questa nazione ha inferto alla sua Carta Costituzionale.
Improvvisamente oggi tutti cominciano ad aprire gli occhi, da Destra a Sinistra, attraversando, almeno a parole, l’intero arco parlamentare. Dopo 60 anni ci si accorge che questa mancata attuazione sta provocando disastri ?
E’ il caso dell’Art. 53 da cui “dovrebbe” discendere il Sistema Tributario. Il condizionale è d’obbligo, dal momento che il povero Articolo 53, con i suoi due commi, riposa nella Prima parte della Costituzione non attuato ed al suo posto regna il principio iniquo dello Statuto Albertino, quello statuto che il dettato costituzionale voleva invece superare fornendo un impianto EQUO e SOLIDALE, due aggettivi oramai caduti in disuso nell’iper-liberistico mito del mercato che deve dominare su tutti e tutto, in un delirio populista nel quale è la Costituzione a doversi piegare alle necessità contingenti o personali, non il viceversa: sostanzialmente una abiura della Costituzione dello stato di fronte alla cosiddetta “Costituzione di fatto”.
A svegliare gli intellettuali ed i lettori attenti ci pensa Tito Boeri, insigne economista italiano, su Repubblica del 3 gennaio 2010[4], esordisce chiamando una volta per tutte le cose con il loro nome “……Proviamo a crederci: il 2010 sarà "l'anno delle riforme", come annunciato solennemente dal nostro Presidente del Consiglio. Ma quali? Uscendo dalla crisi più dura del Dopoguerra non si può che pensare prioritariamente all'economia. Sin qui le uniche misure economiche calendarizzate dall'esecutivo sono quelle rimaste fuori dalla Finanziaria, gli incentivi per i consumi e i bonus per la rottamazione di automobili, elettrodomestici e cucine. Per chiamarle riforme ci vuole, Ninetta mia, tanto, troppo coraggio. Prima della pausa natalizia, il ministro Tremonti ha tuttavia annunciato che "è arrivato il tempo di pensare alla riforma fiscale". Evviva. Vuol dire che non è più tempo di interventi estemporanei e fra di loro contraddittori sul nostro sistema tributario, è finita l'era in cui si cambiano solo i nomi delle imposte (dall'Irpef all'Ire, dall'Irpeg all'Ires) e in cui le tasse si moltiplicano, di legislatura in legislatura. Nell'attesa di conoscere il progetto del Ministro, vorrei proporre un criterio molto semplice cui ispirare la riforma: bisogna tassare di più i più ricchi e meno chi lavora a bassi salari. È un principio, quello della progressività del sistema fiscale, scolpito nella nostra Costituzione, ma sin qui largamente inapplicato. Non è gradito al Ministro (che nel Libro Bianco del 1994 sosteneva che "la progressività ha effetti negativi sull'offerta di lavoro e causa la propensione ad evadere"). Quindi bene spendere due parole sul perché è giusto farlo e poi interrogarsi sul come farlo. Negli ultimi trent'anni le disuguaglianze dei redditi in Italia sono aumentate soprattutto ai piani più alti. Si è parlato spesso (sovente a sproposito) di impoverimento, ma il fatto di gran lunga più marcato e rilevante accaduto alla distribuzione dei redditi in Italia è l'esplosione delle disuguaglianze fra la parte più ricca della popolazione. La quota di reddito detenuta dallo 0,1 per cento di persone più ricche è quasi raddoppiata dagli inizi degli anni '80 al 2004, l'ultimo anno per cui si hanno informazioni, grazie al paziente lavoro di ricostruzione di fonti sui redditi più elevati svolto da Elena Pisano, che ha appena conseguito un dottorato alla Sapienza………”
E’ quindi un dato di fatto che interventi estemporanei, toppe sulle toppe, non se ne possono più fare.
A dare invece una sonora sveglia al legislatore ci ha pensato la Cassazione che, con la sentenza 26635 del 18.12.2009 ha fornito, in sostanza, una sonora bocciatura agli Studi di Settore, indicando che il mancato rispetto degli studi di settore, cioè il meccanismo di determinazione dei redditi in base ai quali gli autonomi pagano le tasse, non è sufficiente a far scattare un automatico accertamento fiscale da parte dell’agenzia delle entrate. Gli studi di settore sono da considerare una “mera” elaborazione statistica, il cui frutto è una ipotesi probabilistica che può solo costituire una approssimazione semplice. La conseguenza immediata della sentenza è che gli accertamenti in corso sono nulli! (Naturalmente i lavoratori autonomi esulterebbero..) Ma la sentenza conferma che l’attuale sistema induttivo, oltre a non accertare i redditi effettivi, penalizza i lavoratori che non raggiungono il minimo e danno facoltà di evasione a chi lo raggiunge!
Il colpo finale lo ha dato poi il Presidente della Repubblica nel suo discorso di fine d’anno [5], da cui traiamo solo due passi. “..Parto dalla realtà delle famiglie che hanno avuto maggiori problemi: le coppie con più figli minori, le famiglie con anziani, le famiglie in cui solo una persona è occupata ed è un operaio. Le indagini condotte anche in Parlamento ci dicono che nel confronto internazionale, elevato è in Italia il livello della disuguaglianza e della povertà. Le retribuzioni dei lavoratori dipendenti hanno continuato ad essere penalizzate da un'alta pressione fiscale e contributiva; più basso è il reddito delle famiglie in cui ci sono occupati in impieghi "atipici", comunque temporanei….”
E ancora. ”La riforma annunciata per il fisco, è poi assolutamente cruciale; in quel campo, è vero, non si può più procedere con "rattoppi", vanno presentate e dibattute un'analisi e una proposta d'insieme. E in quel dibattito si misurerà anche una rinnovata presa di coscienza del problema durissimo del debito dello Stato. ….”
Se quindi lo Stato si è messo, come pare di intuire, nei guai da solo, in quanto non è automaticamente titolato a compiere controlli sistematici che vadano a verificare l’ effettivo reddito, allora significa che il sistema nel suo complesso è arrivato al capolinea!!
Se da un lato un lavoratore dipendente ed un pensionato si vedono calcolare i redditi in modo certo e soprattutto non possono impedire il prelievo fiscale in busta paga, prelievo sempre più alto a fronte di un reddito sempre più in calo, mentre altre tipologie di lavoratori sono addirittura
tutelate da controlli e possono sostanzialmente denunziare in modo forfettario i loro redditi, ci troviamo di fronte ad una ghettizzazione che va a stridere non solo con l’Art. 53 , ma addirittura con l’Art. 2 e l’Art. 3. Siamo quindi di fronte ad un sistema tributario che sempre più sta dimostrando non solo di non aderire al dettato costituzionale, ma di essere diventato in gran parte anticostituzionale.
In più si espande a dismisura il reddito che il Fisco non vedrà mai, in quanto chi raggiunge la soglia minima fissata dallo studio di settore può continuare ad immagazzinare ulteriore reddito senza alcun obbligo di denunzia, dal momento che non esiste la controprova di questo reddito.
Nota Intanto quasi dimenticavamo di dire che quanti criticano le nostre posizioni, (ma anche i tanti che, solo a parole, dicono di essere d’accordo con noi…), ribattono alle nostre considerazioni dicendo che anche i lavoratori dipendenti praticano il rito della evasione, in quanto nascondono i redditi da lavoro “nero”, il mitico secondo lavoro.!!
Noi rispondiamo così a queste critiche :
1. E’ assurdo il solo pensare che funzionino i principi come “mal comune mezzo gaudio…”, “chiudiamo un occhio noi, uno voi..” , “chi la fa l’aspetti…”, etc… ovvero che i conti sono pareggiati e che la partita finisce sempre 1 a 1. Qui tutti hanno perso, e soprattutto ci stanno rimettendo lo Stato in cui viviamo ed il futuro delle nuove generazioni che stiamo mettendo tutti a repentaglio.
2. Per praticare un lavoro a nero, ci vuole un datore di lavoro che è in grado di pagare a nero, il che ci riporta immediatamente al punto di partenza, ovvero che la determinazione su base forfettaria dei redditi è una fonte inesauribile di evasione… per tutti!
Fino a quando il tessuto economico, ma ancor di più quello sociale dello Stato saranno in grado di reggere quando la evasione fiscale viaggia a cifre da record, quando intere aree del territorio vedono percentuali di evasione prossime all’ 80%, quando lo Stato è costretto a mercanteggiare persino sulle condizioni dello scudo fiscale, vedendosi costretto a porre condizioni vantaggiosissime per il “supposto” rientro dei capitali, accludendo un ricco menu di succosi bocconcini quali la cancellazione di veri e propri reati come la “deliberata distruzione di documenti contabili”, a fornire l’anonimato totale e permanente, e via discorrendo in un crescendo impressionante?
Non abbiamo qui tempo per estendere le considerazioni a questa infausta norma, infelice per tutti coloro che onestamente compiono il loro dovere nei confronti dell’erario e che vedono, come al solito, che la disonestà paga. Lo faremo ovviamente in un prossimo editoriale, certi di trovare attenti lettori.
Dopo aver scoperchiato la pentola, cosa di cui siamo grati agli editorialisti, dobbiamo però constatare che Tito Boeri stesso, come Economista, ma anche qualificati rappresentanti del mondo politico, fra i quali citiamo Stefano Fassina, responsabile economico del PD, propongono soluzioni che, francamente, non ci vedono favorevoli.
Ne’ il fatto che i giornali indichino la convergenza di altre forze politiche su questo tema ci conforta granchè.
- Boeri propone una soluzione[6] basata sul mantenimento delle aliquote IRPEF al 45%, ma aumentando la tassazione dei redditi non da lavoro “portandola almeno al livello della aliquota IRPEF più bassa, vale a dire il 23%” . Quindi, in sostanza, la introduzione della tassazione delle rendite finanziarie.
- La proposta di Fassina prevede[7] i seguenti punti:“…L’obiettivo principale deve restare il recupero delle risorse dall’evasione fiscale Poi certo va guardato alla ricchezza, allineando la tassazione sulle rendite a quella sul lavoro. Noi però proponiamo anche una semplificazione del sistema, abolendo gli studi di settore e applicando a parte delle categorie interessate un’imposta forfettaria che sostituisca IVA, IRPEF e IRAP”.
-La prima proposta prefigura una “tassa sul privilegio”, e può essere considerata solo come un ulteriore stratagemma per andare a racimolare maggiori somme da presentare all’Erario per la tassazione, ma non ci pare assolutamente che vada nel senso indicato dall’Art. 53. Ovviamente la ulteriore ipotesi è che gli Italiani, onestamente, conserveranno le proprie rendite, comprensive ovviamente di quelle che si confida stiano rientrando dai paradisi fiscali, sul territorio nazionale, pronti a metterle a disposizione della comunità…
-La seconda si presenta come una enunciazione di principio, più che una proposta sistematica, ma possiamo scorgere nella impostazione gli tessi problemi di incostituzionalità del sistema attuale, dal momento che vengono mantenuti i presupposti dell’attuale stato di disuguaglianza riferita ai redditi lordi fissi accertati nella loro effettiva consistenza. Oltre a non indicare il modo in cui si possa operare il recupero della evasione fiscale, vero e reale problema del paese, si porta ancora avanti il concetto di determinazione del reddito su base forfettaria, che abbiamo da sempre indicato come la principale sorgente di evasione.
- I capitali, che hanno generato e generano le rendite che si vorrebbe andare a tassare, dove sono andati a finire ?
- Perché non possono essere esposti in denunzia in modo analitico/deduttivo/sistematico in modo da determinare la capacità contributiva dei soggetti?
Queste sono le domande cui qualcuno dovrebbe rispondere.
Basti pensare che, fatto salvo il caso banale in cui i capitali derivino da attività criminali o da altri illeciti guadagni, essi sono necessariamente la contropartita di somme che altri cittadini hanno ceduto a fronte di spese, acquisti , di tutto quello che la gente compra per vivere.
In un semplicissimo meccanismo di partita doppia, alla riduzione della capacità contributiva di chi compra, spende e paga, se dimostrata in modo analitico/deduttivo/sistematico, DEVE CORRISPONDERE una equivalente crescita della capacità contributiva di chi quelle somme ha introitato.
Questi capitali, e sono questi la vera ricchezza per lo Stato, devono essere dichiarati, o devono poter essere calcolati sulla base della controparte della partita doppia, per giungere a determinare in modo analitico la capacità contributiva.
In caso contrario succede, ed è la realtà che tutti viviamo quotidianamente, che chi spende per vivere è costretto, a dover pagare le tasse anche sulla parte di ricchezza che non ha più, in quanto è stata ceduta ad altri. (Ad esempio, se uno di noi ha speso, nell’arco del 2009, una somma di 10.000 – 15.000 euro, (costo vivo più IVA..), in alimentari, bollette, libri, riviste, carburante o biglietti dei mezzi pubblici per recarsi al lavoro, su tutte queste somme sarà chiamato a pagare anche le tasse esattamente come se fosse ancora in possesso delle somme, dal momento che non è previsto da nessuna parte che si possano defalcare tali somme dal reddito.
Al contempo, a causa del regime forfettario, anche ignorando in questo momento i mille rivoli in cui la evasione prende corpo, non è detto che coloro che hanno venduto quella merce saranno chiamati a loro volta a pagare tasse sul ricavato. Basta infatti che le somme vadano oltre i limiti minimi chiesti dagli studi (la vecchia Minimum Tax..) ed il gioco è fatto. Bel gioco, non c’è che dire…..
Il risultato netto ? Eccolo .
1. Chi ha speso, pur non essendo più materialmente in possesso delle somme, dovrà pagarci sopra le tasse, in quanto per lo Stato è e resta comunque un “possidente".
2. Sulle spese il cittadino avrà per giunta versato l’IVA, la tassa sui consumi, imposta che, ricordiamo, ha un peso inversamente proporzionale al reddito, colpendo in modo percentualmente tanto più sensibile quanto più basso è quest’ultimo.
3. Chi ha incamerato le somme non è detto che verserà imposte (si veda in proposito l’immagine della forbice dei redditi sottoposti a tassazione nella immagine precedente) .
4. Lo Stato può ritenersi soddisfatto, anche se non giusto, in quanto ha raggranellato in qualche modo tasse dirette ed indirette…..Salvo che questa sono state versate da chi non avrebbe dovuto farlo e comunque in maniera esosa da parte di un solo soggetto, peraltro impossibilitato a recuperare l’IVA, che rimane pertanto la voce più importante nelle entrate dello Stato.
Anche il lettore meno attento a questo punto avrà capito che “..c’è del marcio in Danimarca..” in termini tecnici possiamo dire che siamo, per quanto concerne il sistema tributario, tornati sostanzialmente agli articoli dello Statuto Albertino.
Per capire quanto assurdo possa essere un sistema siffatto, come qualunque sistema che non poggi le sue basi saldamente e realmente sui due commi dell’Art. 53, attualizziamo il ragionamento nella situazione di crisi sociale ed economica in cui il paese si dibatte, tralasciando per un attimo il fatto che il problema della iniquità del sistema tributario non deriva ovviamente dalla crisi ma dalle scelte scellerate di una classe politica che, per meri interessi di parte, ha lasciato, a partire dal 1973, non attuato nel tempo il dettato costituzionale .
Coloro che stanno vivendo con il modesto contributo della cassa integrazione, che vivono di precariato o che sono privi di stipendio, in quanto le aziende semplicemente hanno smesso di pagare gli stipendi, si vedranno a breve recapitare le cartelle esattoriali in quanto il fisco, ritenendoli possidenti di reddito, chiederà loro di versare le imposte. Le imposte su cosa ? Sul latte comprato ai bambini? Sul maglione in più per difendersi dal gelo per il fatto che il riscaldamento deve essere lasciato spento ?
La crisi sta facendo esplodere in tutta la sua gravità la sperequazione nei redditi cui si è giunti con un sistema tributario che ha tradito la costituzione, relegando in uno stato di sempre maggiore povertà un numero sempre maggiore di persone. Con buona pace dell’articolo 2 e dell’articolo 3 della Costituzione.
E allora, perché si continua ad girare intorno al punto fondamentale senza mai affrontarlo ?
Occorre attuare finalmente il sistema di accertamento dei redditi analitico/deduttivo /sistematico, l’unico che permette di accertare il reddito effettivo, applicando poi delle aliquote progressive per il calcolo dei tributi, così da dare realmente progressività al sistema tributario nel suo complesso così come volevano i nostri Padri Costituenti.
La questione è posta da tempo dalla nostra Associazione in modo chiaro e con proposte efficaci e dirette, anche di immediata realizzazione, come la proposta di legge da noi elaborata e proposta dimostra[8]. Essa ha il pregio di non lasciare nulla al “caso”, né alla “discrezionalità”, non chiede altro al politico se non attuare un articolo della Costituzione, l’art.53.
In uno scenario in cui tutti si affannano a inventare ragioni per cambiare la Costituzione, noi riteniamo che semplicemente occorre renderla efficace, ovvero tradurre nel sistema legislativo il dettato costituzionale.
Anche qui però lasciamo che a parlare sia uno dei “padri” dell’Art.53, l’On. SCOCA
Le sue sono parole chiarissime in proposito e richiamano i principi di un sistema etico, equo e solidale trasmesso anche dagli Artt. 2 e 3.
”... Non si può negare che il cittadino, prima di essere chiamato a corrispondere una quota parte della sua ricchezza allo Stato, per la soddisfazione dei bisogni pubblici, deve soddisfare i bisogni elementari di vita suoi propri e di coloro ai quali, per obbligo morale e giuridico, deve provvedere...” (Sed. Ass. Cost. 23/05/1947).
Ripensando a queste parole, non possiamo che auspicare che il 2010 sia finalmente l’anno della Riforma in senso Costituzionale del Sistema Tributario, così come delineato dai due commi dell’Art. 53 e dalla Legge Delega per la riforma tributaria n.825/71 che ribadisce i principi espressi dall’Art. 53 e delinea le modalità di attuazione.
Come Associazione Articolo 53 verificheremo con attenzione se, nel corso di quest’anno, alle parole di questi giorni seguiranno fatti reali e sostanziali, se qualcuno avrà la capacità ed il coraggio di proporre la riforma in senso Costituzionale del Sistema Tributario come strada da intraprendere per risanare finalmente le disastrate finanze del nostro Paese.
In questi anni la politica non ha dato alcuna risposta alle sollecitazioni della società civile su questo tema, e quando le ha date sono purtroppo state insufficienti o addirittura rivelavano un senso di “fastidio”.
Se quindi da un lato siamo ovviamente moderatamente soddisfatti per il fatto che una discussione si stia aprendo (dopo circa 60 anni…), dall’altro abbiamo anche fondati motivi per essere diffidenti nei confronti della classe politica perché:
- Il modo di fare politica è sostanzialmente basato sugli interessi e le necessità di partito quando non di coalizione: le aspettative del Paese vengono sistematicamente ignorate, tanto che qualcuno ha coniato la espressione che “la politica è sostanzialmente ingiusta” per comunicare che, stante il livello di complessità e di atomizzazione delle attività politiche, è impensabile che le istanze procedano dalla società al Parlamento in modo lineare come il comune cittadino potrebbe pensare, e che anzi il cittadino dovrebbe semplicemente smettere di pensare che le cose possano andare diversamente da come vanno.
Noi rifiutiamo, anzi le riteniamo irricevibili, queste considerazioni e non possiamo non rispondere che il politico che si allinea a questo modo di pensare ha già tradito il suo mandato elettorale, qualunque sia il colore della forza politica cui appartiene.
- Le forti pressioni lobbistiche riescono a snaturare anche la migliore delle impalcature legislative se non nasce e va a a fare da contrappeso, una forte spinta popolare legata all’etica universale, ai valori di onestà e sussidiarietà tipici di un paese moderno ed altamente civilizzato quale quello cui è destinata la nostra Costituzione (alla faccia di chi sostiene che è vecchia, sovietica, e tutte le idiozie al contorno che da troppo tempo siamo costretti ad ascoltare)
- Non possiamo non citare il fatto che l’attuale agenda politica vede punti che con il reale interesse del paese ben poco hanno a che vedere.
Il tam-tam dei media trasmette però notizie poco allegre: il ministro Tremonti che, come abbiamo letto precedentemente dalle fonti citate, non apprezza il valore della progressività,
potrebbe optare per proporre una riforma con il solito aumento dell’IVA sui beni di consumo, il fiore all’ occhiello dello Statuto Albertino in vigore prima della promulgazione della Costituzione.
Sappiamo infatti che i tributi indiretti operano in modo addirittura REGRESSIVO.
Al danno si aggiungerebbe quindi l’ennesima beffa, specialmente per quelli che Don Milani definiva i “poveri”, ovvero quelli che spendono tutto il loro reddito per sopravvivere e che già ora sostengono gran parte del costo di beni e servizi anche per coloro che sono “ricchi”, quelli che invece possono mantenere della ricchezza anche dopo aver provveduto alla sopravvivenza.
Lasciamo però che, su questo punto a Tremonti sia proprio l’On Scoca a rispondere. Confidiamo che nessuno meglio di uno dei Padri della Costituzione possa affrontare il tema della “progressività a rovescio” operata dai tributi che, come l’IVA, gravano sui consumi
“….il nostro sistema tributario è informato al criterio della proporzionalità, se poi consideriamo che più dei tributi diretti rendono i tributi indiretti e questi attuano una progressione a rovescio, in quanto, essendo stabiliti prevalentemente sui consumi gravano maggiormente sulle classi meno abbienti, si vede come in effetti la distribuzione del carico tributario avvenga non già in senso progressivo e neppure proporzionale, ma in senso regressivo che per una Costituzione come la nostra che vuole essere di equità sociale, fiscale e di solidarietà rappresenta una grave ingiustizia a danno delle classi più povere, questa ingiustizia deve essere eliminata in sede di accertamento del reddito globale personale, ciò significa che l’onere tributario complessivo gravante su ciascuno risulti informato al criterio della progressività”. “se esaminiamo la nostra legislatura, accanto alle normali leggi di imposta ci sono eccezioni, troppe differenze di trattamento tra classi di cittadini ed altri classi, tra varie categorie di contribuenti, lesive del principio di uguaglianza e di solidarietà sociali presenti in questa prima parte di Costituzione. Queste gravi mende della nostra legislazione vanno eliminate con una radicale riforma tributaria”.
[1]Corriere della Sera
http://archiviostorico.corriere.it/2009/novembre/08/Scuola_Cosi_democrazia_diventa_catechismo_co_9_091108058.shtml
MicroMega - http://temi.repubblica.it/micromega-online/la-costituzione-una-carta-politica/
[2] http://www.repubblica.it/online/politica/berluparla/torino/torino.html
[3] http://www.rainews24.rai.it/it/news.php?newsid=135035
[4]http://www.repubblica.it/2009/12/sezioni/economia/crisi-45/tassa-privilegio/tassa-privilegio.html?ref=search
[5] http://www.repubblica.it/2009/12/sezioni/politica/napolitano-discorso-2009/napolitano-discorso-testo/napolitano-discorso-testo.html
[6] http://www.repubblica.it/2009/12/sezioni/economia/crisi-45/tassa-privilegio/tassa-privilegio.html?ref=search
[7] La Repubblica, 4 Gennaio 2010 , pag 11
[8] Cfr. PROPOSTA DI MODIFICA DELL' ATTUALE LEGGE 917/86 E SEGUENTI
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